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Dialogo vs repressione, i modelli Svezia-Italia

Dialogo vs repressione, i modelli Svezia-Italia

3 gennaio 2016

Dialogo. E’ il mantra del nostro tempo, cercare sempre la quadra del cerchio in maniera riflessiva, a meno che non si tratti di rapportarsi ai buchi neri della società. In questo caso parliamo di ultras.
Dalla Svezia arriva un progetto chiamatoEnable, una rete internazionale di esperti in sicurezza nell’ambito del calcio. Il governo scandinavo ha deciso di intraprendere un percorso di “dialogo” con gli hooligans sul proprio territorio, all’indomani della morte di un tifoso, nel 2014, nella prima giornata della Allsvenskan – il massimo campionato svedese – per trovare una nuova chiave di lettura, ricorrendo anche al confronto, in modo da arginare definitivamente il fenomeno della violenza legato al mondo del pallone. Ma spieghiamo in cosa consiste questo prospetto. L’idea principale è quella di raccogliere informazioni per analizzare, identificare e condividere le modalità di gestione dell’ordine pubblico inerenti al campionato scandinavo. La lente d’ingrandimento ricade sulle operazioni della polizia, della gestione da parte del club, il ruolo del Supporter Liason Officer (SLO) e per finire l’interazione tra tutti questi fattori. Le osservazioni vengono fatte sistematicamente, in particolar modo durante le partite a maggior rischio in Svezia, con il coinvolgimento di accademici, forze dell’ordine, steward, rappresentanti delle squadre, tifosi stessi e SLO svedesi, danesi e britannici.

Enable prevede che il Supporter Liason Officer – figura sul libro paga delle società di calcio – viva in toto la domenica di tifo assieme ai tifosi della squadra avversaria, diventando un punto di riferimento visivo sia dentro che fuori lo stadio, una sorta di addetto alla reception e biglietto da visita della squadra che ospita l’incontro. Per entrare maggiormente nello specifico, lo SLO vivendo a contatto con le frange più calde del tifo può scandagliare gli stati umorali della folla, cercando di stabilire un dialogo diretto e a due vie – dare e ricevere informazioni – diventando agli occhi dei tifosi “il loro poliziotto”. In Italia sta lavorando su questo aspetto Federico Smanio– marketing manager della Lega di Serie B – che nelle scorse settimane si è recato in Svezia per assistere al monitoraggio della sfida Djurgården-Hammarby, uno dei derby più caldi della Allsvenskan.

Resta difficile capire se questo processo potrà prendere piede in Europa, ma naturalmente sorge spontanea la domanda: è una pratica trasferibile nel nostro paese? Innanzitutto va elogiato l’atteggiamento del governo svedese e della Federcalcio scandinava che si sono sedute ad un tavolo per cercare di percorre la strada del dialogo con gli ultras, senza stringere la morsa della repressione. Repressione parole d’ordine nelle questure d’Italia quando ci si interfaccia con le tifoserie sparse sulla penisola. All’indomani dell’omicidio di Gabriele Sandri la risposta della politica è arrivata da parte di Roberto Maroni con l’introduzione, nel 2009, dellaTessera del tifoso che con la scusa dello snellimento del controllo di documenti ai varchi degli impianti ha presto mostrato la sua vera natura. Natura che prevede la schedatura dei supporter, in maniera coercitiva diventando trampolino per Daspo a ripetizione festeggiati, a quanto pare, nella Questura di Firenze qualche giorno fa.

L’inibizione e la limitazione più violenta a volte può arrivare anche dallo stadio amico, come la divisione delle curve operata a Roma. Questo stupro fatto all’Olimpico ha portato la riduzione di capienza del settore più popolare passando dagli 8.700 a i 7.000 posti, per via dell’innalzamento delle barriere che dividono i distinti dalla curve dello stadio. Inoltre viene imposto, secondo normativa, a chi entra nel settore di sottostare esclusivamente al proprio posto, come al Teatro alla Scala magari imbalsamati, pena 167 euro di multa. Con la violazione reiterata Daspo da uno a tre anni. I tifosi della curva, per giunta, quando hanno sottoscritto l’abbonamento non hanno avuto la possibilità di scegliersi il seggiolino, al contrario degli altri settori, capitando magari di ritrovarsi a ridosso delle vetrate e non avendo visibilità sul campo. Oppure durante le giornate di pioggia nelle prime dieci file dell’impianto capitolino che diventano inagibili. Un chiaro percorso di allontanamento delle persone, alla faccia del tanto vituperato ripopoliamo gli stadi.

Violenza genera violenza. E la violenza psicologica è quella più subdola e stagnate capace di innescare micce a corto raggio che portano alla deflagrazione degli stati d’animo. La via svedese, che grava lo SLO di essere lo “sbirro” dei tifosi, non è quella giusta (chissà, se fosse un intermediario tra le parti come accade, ad esempio, al Real Madrid, potrebbe essere comunque un beneficio, ndr). Ci sono già gli steward che operano nel campo dell’accoglienza e dell’interazione coi supporter, nessun gruppo di fan vedrebbe di buon occhio un “protettore”, ma lo intenderebbe come un nuovo gesto di sfida. Serve gestire la piazza, perché l’ultras ha nel suo ideale lo scontro come gesto fisico e simbolico di rivalsa, ma vistosi giorno dopo giorno calpestato nei suoi diritti – si anche i tifosi hanno diritti, così come doveri – si innesca un turbinio di furia sterminato con pratiche draconiane lontane dal dialogo, ma simili all’interrogatorio.

 

(Il Primato Nazionale)