ULTIME ULTRAS

All posts by category
Ultras e attivisti, l’ingiustizia della giustizia preventiva

Ultras e attivisti, l’ingiustizia della giustizia preventiva

2 dicembre 2016

Daspo e sorveglianza speciale sono due misure “preventive” pensate per controllare chi è sospettato di essere un “soggetto pericoloso”: ultras e attivisti dei movimenti, in questo momento, sono tra le categorie più monitorate e in un certo senso temute da chi è deputato difendere l’ordine pubblico. Ma c’è qualcosa che non torna: “E’ il rispetto della Costituzione”. A parlare è l‘avvocato Tiziano Checcoli, legale degli attivisti pisani ai quali è stato applicato il daspo dagli stadi a seguito dei disordini avvenuti a una manifestazione contro la Lega Nord. “Proprio così: per aver manifestato politicamente oggi si rischia di essere interdetti dalle partite di calcio”. Una follia? “Assolutamente. La ratio giuridica delle misure di prevenzione, come le stiamo sperimentando in Italia, consente all’autorità amministrativa di limitare la libertà delle persone a prescindere da una sentenza del tribunale”.

DALLO STADIO ALLE PIAZZE – Quando fu introdotto il daspo contro i tifosi, da più parti si gridò alla “sperimentazione in corso”. E i fatti futuri non si sono poi tanto discostati da questo timore: “Da anni – continua l’avvocato Checcoli – c’è un’attenzione particolare al tifo, oggetto di una sperimentazione di nuove misure limitative della libertà. E’ in quest’ottica che nasce il daspo”. Ma gli ultras sono una categoria storicamente invisa all’opinione pubblica: per questo in pochi si sono levati in piedi contro questo strumento conferito nelle mani delle Questure. “Il problema, però, è che oggi si sta applicando il daspo per limitare l’agibilità democratica delle piazze”. Nel caso di Pisa l’anomalia risiede nel fatto che “al termine di alcuni disordini scoppiati durante una manifestazione che con il calcio non c’entra nulla, la protesta contro la Lega Nord, si sono colpite persone vietando loro l’ingresso negli stadi”. Anche a persone che con lo stadio non avevano niente a che fare. Tutto “senza nessun procedimento al cospetto di un giudice che nemmeno sappiamo se mai ci sarà”. Ma, nell’attesa, “i sospettati sono già diventati colpevoli grazie a uno strumento pensato e nato per tutt’altro”. In pratica “il risultato, a prescindere da un’eventuale sentenza di condanna per i disordini avvenuti in piazza, è già stato ottenuto. Ma così si sta scardinando l’intero sistema di garanzie dato dal diritto costituzionale”.

BASTA IL SOSPETTO? – Da Pisa a Roma, il principio alla base dei provvedimenti di sorveglianza speciale emessi a carico di due attivisti dei movimenti per il diritto all’abitare è lo stesso: io sospetto che tu possa compiere reati? In attesa di una sentenza che potrebbe anche non arrivare mai, perché mai potrebbe esserci un processo, intanto limito le tue libertà. “Quanto sta avvenendo a Roma dall’estate 2015, con i primi ‘avvisi orali’ emessi a carico sia di sindacalisti che di attivisti dei movimenti, è molto pericoloso” avverte l’avvocato Francesco Romeo, difensore di uno degli attivisti colpito dalla sorveglianza speciale: “Nessun procedimento di prevenzione può discostarsi dalle regole e dai criteri di formazione e valutazione della prova previsti nel processo penale”. Da qui, un timore che ad oggi possiamo solo definire sospetto: “Che nel caso dei due attivisti romani si sia applicata una punizione politica per la loro attività“. In fondo è lo stesso principio di “pericolosità sociale” a essere quanto mai labile: “O si raggiunge la ragionevole certezza che il soggetto accusato sia pericoloso, oppure non si può punire una persona solo perché scomoda”. Per questo, concordano entrambi i legali, “è arrivato il momento di capire come, sul piano della concreta applicazione, sia possibile salvaguardare i principi costituzionali arrivando a eliminare la categoria dei soggetti pericolosi per la sicurezza e la tranquillità pubblica, visto che grazie a tale classificazione, che si presta a un uso ‘politico’ verso i movimenti sociali di opposizione, si può arrivare ad applicare pesanti limitazioni delle libertà personali sulla base di semplici sospetti”.

IL CASO DEI DASPO DI PIAZZA – Sono cinque le persone alle quali è stato applicato il daspo dallo stadio a seguito delle tensione scaturite nella manifestazione di Pisa del 14 novembre 2015. Ma, come detto, il calcio non c’entra nulla: la protesta era contro il comizio della Lega Nord: per la prima volta il daspo, nato per “limitare la libertà dei tifosi”, è stato applicato a manifestazioni di tipo politico.

LA SORVEGLIANZA SPECIALE – Il Tribunale di Roma, con sentenza del 3 ottobre scorso, ha deciso di applicare la misura preventiva della sorveglianza speciale per un anno nei confronti di due storici attivisti delle lotte per l’abitare: Luca Fagiano (foto sotto a sinistra) del Coordinamento cittadino di lotta per la casa e Paolo Di Vetta (foto sotto a destra) dei Blocchi precari metropolitani. Una misura che condiziona sensibilmente la vita quotidiana di chi ne è interessato, a partire dal divieto di uscire di casa prima delle 7 del mattino e non rientrare più tardi delle 21. La violazione di una sola delle prescrizioni stabilite dal decreto, tra cui il divieto di “non partecipare a pubbliche riunioni” costituisce un reato. Questo significa che entrambi non potranno partecipare a cortei e assemblee per tutta la durata della sorveglianza speciale.

“TROPPE ANOMALIE” – I due legali hanno puntato il dito, nelle loro tesi difensive, su una serie di anomalie: due ci sono sembrate molto vicine all’assurdo giuridico.

I VIDEO DI PISA – La prima, ci spiega l’avvocato Checcoli, riguarda il caso degli attivisti pisani daspati dagli stadi: “I daspo applicati agli attivisti si basano su una serie di video di disordini avvenuti in piazza, ma quelle immagini non sono mai state visionate dalla difesa”. Il motivo? “Sarebbero la prova centrale dell’eventuale processo penale a carico dei manifestanti. Ma essendo il procedimento penale ancora nella fase delle indagini, i video non sono stati mostrati alzando la barriera del segreto istruttorio. Il risultato è che si è usato un elemento di prova alla base di un’istruttoria amministrativa che il “sospettato” non ha potuto visionare in quanto è in corso un’indagine parallela della magistratura. Così una persona può subire un daspo senza poter verificare nessuna prova in mano all’accusa”.

LE DENUNCE DI ROMA – L’altra anomalia, è l’analisi dell’avvocato Romeo, arriva da Roma: “Per giustificare la pericolosità sociale degli attivisti sono state portate all’attenzione del giudice decine di denunce di polizia, atti iniziali di un’inchiesta. Ma l’unica ‘prova’ che potrebbe delineare una persona come pericolosa sono solo e soltanto i precedenti penali, quindi le sentenze inserite nel casellario giudiziario penale”. Eppure, nonostante le oltre 40 denunce di polizia sottoposte all’esame del tribunale di Roma siano terminate con un nulla di fatto (non avendo avuto alcuno sviluppo processuale,o perché archiviate, o concluse con sentenze di assoluzione o ancora al vaglio della magistratura in vari gradi di giudizio), gli attivisti sono stati sottoposti alla sorveglianza speciale “perché sospettati di essere un pericolo per la società”.

NESSUN PROCESSO – Più il tempo passa, e i casi si moltiplicano, più si può constatare come “si stia ricorrendo alle misure di prevenzione per aggirare le garanzie sostanziali e processuali”. E’ questo il parere dell’avvocato Francesco Romeo: “E’ come se in assenza della possibilità di accertare dei reati, in mancanza della prova certa della colpevolezza, ci si stia intanto orientando a sanzionare il dubbio”.

APPELLO AL PARLAMENTO – Ed è qui che entra in gioco la Costituzione, in particolare gli articoli 13 (la libertà della persona è inviolabile), 16 (Ogni cittadino può circolare liberamente sul territorio nazionale) e 25 (Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge). Per questo i legali chiamano in causa direttamente il Parlamento perché, avverte l’avvocato Checcoli, “quando si parla di diritti, di libertà, di garanzie, ogni falla che si crea potrebbe determinare il crollo della diga. I precetti costituzionali sono a guardia dei diritti fondamentali, sono dighe che devono tenere contro la pressione dell’autorità che, per sua natura, tende a essere sempre più pervasiva e controllante”. La questione centrale è quella del rispetto dell’articolo 25 della Costituzione: quali sono i casi previsti dalla legge e, soprattutto, “come individuare gli indici sintomatici delle pericolosità?”. Un ultras può essere considerato un rischio per la sicurezza pubblica solo in quanto ultras? Un attivista politico può essere un soggetto pericoloso solo in quanto attivista politico? La risposta, secondo Antigone e A Buon Diritto, associazioni in difesa dei diritti civili, sembra tracciare il profilo di una “emergenza democratica” che sta proliferando all’interno di quella zona grigia del diritto, quel purgatorio, tra la valutazione ancorata al sospetto e l’accertamento giudiziale di quel sospetto.

(TODAY)