Era in sciopero della fame. Le lenzuola del suo letto sono state ritrovate, in cella, ancora sporche di sangue. La magistratura ha inteso archiviare tutti i procedimenti sul caso giustificando il decesso di Nanà con un edema polmonare e una particolare forma di epilessia di cui, in realtà, pare non abbia mai sofferto. La morte di ‘Massimino’ e le circostanze in cui è avvenuta a distanza di venti anni restano ancora tutte da chiarire. I suoi amici non lo hanno mai dimenticato. Anche quest’anno ne hanno commemorato la scomparsa con i racconti da stadio e da quartiere che lo vedevano protagonista, nel corso di un’iniziativa che si è svolta lo scorso venerdì presso la Casa degli Ultrà. E’ il 30 Novembre del 1997 quando il quartiere dell’Ultimo Lotto riceve il nefasto annuncio: Nanà, all’anagrafe Massimo Esposito, ventiquattrenne del gruppo le Brigate di via Popilia (Cosenza) è venuto a mancare. La tragedia si è consumata nel carcere di Lecce dove si trovava ristretto da qualche giorno. Si parla di un arresto cardiocircolatorio che non convince chi ne ha riconosciuto la salma notando i numerosi lividi sul suo volto e sul suo corpo. L’autopsia verrà consegnata dopo oltre un anno a seguito di una denuncia per omissione di atti d’ufficio e omissione di soccorso sporta dai familiari di Nanà.
(You Reporter)
Il 30 novembre 1997 Massimo Esposito, ragazzo cosentino di 24 anni, ha perso la vita nel carcere di Lecce. La sua vicenda per molti versi ricorda da vicino quella di Stefano Cucchi con la differenza che non ha mai trovato spazio sui media nazionali e a dirla tutta neanche su quelli locali, con la lodevole eccezione de Il Domani, sul quale scriveva Claudio Dionesalvi. Massimo, per gli amici Massimino Nanà, era un ultrà e seguiva da quando era solo un ragazzino il Cosenza. Faceva parte del gruppo storico di via Popilia, le “Brigate”. Abitava all’ultimo lotto con la sua famiglia, che aveva, come tante altre, serie difficoltà ad arrivare a fine mese.
La passione per il calcio lo portava in tutta Italia a seguire i Lupi. Massimo insieme ai suoi compagni non mancava mai alle trasferte del Cosenza in Serie B ed era tra i ragazzi più carismatici delle “Brigate”.
Si inventava di tutto per non finire sulla cattiva strada: raccoglieva decine e decine di litri d’olio esausto e li vendeva, anche fuori Cosenza, per sbarcare il lunario. Massimino e i suoi amici hanno lubrificato le serrande di tutta Italia ma questo non poteva bastare per dare una sicurezza economica a lui e alla sua famiglia.
Era un ragazzo di quartiere e alla fine anche lui aveva pensato che per guadagnare soldi facili bisognava fare qualcosa di illegale. E così, a settembre del 1997, aveva deciso di partecipare ad una rapina in trasferta nella banca di Carmiano, a due passi da Lecce.
Massimo in mano aveva un taglierino e nessuna esperienza. Gli andò malissimo. Fu immediatamente arrestato e rinchiuso nel carcere di Lecce e da quel posto non sarebbe più uscito.
Quando in città si è appresa la notizia della sua morte, molti hanno avuto la sensazione che ci fosse stato qualcosa di oscuro. Nel primo referto si parlava genericamente di arresto cardiocircolatorio ma non c’era nessun riferimento alle cause reali del decesso. I familiari nell’immediatezza della morte di Massimo, hanno visto il suo cadavere avvolto in un paio di lenzuola insanguinate con una serie ben evidente di lividi sul collo.
Non ci hanno messo molto a capire che era rimasto vittima di un pestaggio all’interno della propria cella o da parte degli agenti penitenziari oppure da parte di qualche detenuto al quale erano state spalancate le porte della cella.
Il 26 novembre 1997, quattro giorni prima della sua morte, Massimo aveva incontrato in occasione di un interrogatorio l’avvocato leccese Alessandra Viterbo, che ha seguito il caso fin dall’inizio. “Ho incontrato Massimo durante il suo interrogatorio – aveva detto il legale – solo quattro giorni prima che morisse. Sudava, era pallido e rifiutava il cibo. Aveva deciso di fare uno sciopero della fame ma nessuno lo ha soccorso”.
E’ stato portato in ospedale solo pochi minuti prima che spirasse quando ormai era entrato in coma. L’autopsia è stata disposta e depositata addirittura undici mesi dopo la sua morte e non ne chiarisce le cause. Si indica genericamente un edema polmonare acuto provocato da una crisi di epilessia, che avrebbe contribuito a renderlo più debole. Ed è stato proprio quest’ultimo particolare che ha insospettito ancora di più i familiari, dal momento che Massimo non ha mai sofferto di epilessia.
Il dottore Franco Fagiano, che avrebbe dovuto svolgere una perizia di parte, prima ha assicurato che avrebbe fatto il lavoro, poi ha incredibilmente declinato l’incarico.
La famiglia si è quindi rivolta al medico cosentino Tullio Chimenti, che ha confermato tutti i sospetti. Nessuna sofferenza precedente nè tanto meno crisi epilettiche. Anzi, soltanto domande alle quali non ci sono state mai risposte sulle incredibili omissioni alle richieste di soccorso del ragazzo.
Anche il sindaco dell’epoca Giacomo Mancini ha preso a cuore il caso di Massimo Esposito assicurandosi che fosse seguito dall’avvocato Tommaso Sorrentino. Il legale, scomparso qualche anno fa, si è trovato davanti un vero e proprio muro di gomma.
Il senatore dei Verdi Luigi Manconi aveva rivolto anche un’interrogazione parlamentare al Ministero dell’Interno. Niente da fare.
“Le indagini della procura di Lecce – scriveva Tommaso Sorrentino – sono state portate avanti con scarso impegno. Evidentemente la morte di un detenuto ha poco rilievo. Il consulente del pm ha depositato l’autopsia a quasi un anno di distanza dalla morte di Massimo Esposito. E solo dopo le mie vibrate proteste. Il consulente di parte si è rifiutato di svolgere la perizia, i familiari di Massimo Esposito e i suoi amici non possono accettare la situazione creatasi. Essa mortifica il senso di umanità”.
A febbraio 1999 la procura di Lecce ha archiviato il caso. E’ evidente che ci sarebbero tutti gli elementi per riaprire il caso e fare giustizia. Massimo potrebbe essere stato eliminato perché era entrato in possesso di informazioni pericolose, ma in ogni caso, la casa circondariale di Lecce è responsabile della sua morte. Per tutti ma non per lo stato italiano.
Un po’ come la vicenda di Stefano Cucchi. Con la differenza che in questo caso non c’è mai stato un indagato e quindi neanche un processo.
Gli Ultrà Cosenza hanno ricordato più volte Massimo con una serie di striscioni esposti al San Vito ed in tutta Italia e specialmente quando il Cosenza giocava a Lecce.
Il 30 novembre, presso la Casa degli Ultrà, alle ore 17, la Curva Sud ha realizzato una iniziativa nel ricordo di Nanà. Proiettati dei contributi video realizzati dall’Associazione Federico Aldrovandi e dall’Otto Settembre, direttivo della Curva Ovest Ferrara. “Invitiamo tutti coloro i quali si indignano e non restano indifferenti difronte ad abusi come questo – scrivono gli ultrà della Curva Sud in una nota – a partecipare alle iniziative che realizzeremo e ricordiamo che chi volesse lasciare un contributo di solidarietà potrà farlo o all’interno della Curva Sud o presso la nostra sede. Per noi la repressione altro non è che una tappa della nostra militanza da ultrà da affrontare a testa alta. Difronte a quest’ennesimo abuso che di fatto offende la nostra dignità di ultrà, che offende gli amici ed i parenti di un ragazzo ucciso senza che i responsabili abbiamo pagato realmente, che calpesta i nostri diritti, continueremo ad alzare la voce e lo faremo con tutta la determinazione che da sempre ci contraddistingue”.
(Iacchite.com)