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Alessandria, la storia degli Ultras Grigi in un libro

Alessandria, la storia degli Ultras Grigi in un libro

22 dicembre 2015

È certamente una delle figure più conosciute del tifo organizzato alessandrino; una passione nata nel lontano 1981, quando per la prima volta, appena dodicenne, decise di assitere ad una partita dell’Alessandria dalla gradinata nord dello stadio “Moccagatta”. Stiamo parlando di Alessandro Barillaro, autore del libro “Ultras Grigi, Alessandria 1974-1998…la nostra storia”, pubblicato nel 2008. Un’opera che racconta i 24 anni di vita del primo gruppo ultras grigio, attraverso i campionati, a volte esaltanti, altre molto deludenti, dell’Alessandria Calcio. Con ancora negli occhi e nella mente le immagini della splendida serata di Marassi e dopo aver condiviso sul pullman di Orgoglio Grigio il viaggio di rientro in Alessandria, Materia Grigia lo ha incontrato per parlare del gruppo Ultras Grigi ’74 e di tutto quel mondo che orbitava attorno al tifo alessandrino, con qualche interessante excursus sull’attuale situazione del sistema calcio e degli stadi italiani.

Alessandro, il tuo libro, oltre a raccontare la storia del gruppo Ultras Grigi ’74, è anche un appassionato approfondimento, se pur da una prospettiva provinciale quale può essere quella alessandrina, delle caratteristiche del tifo organizzato e del sistema calcio nel periodo che va dalla seconda metà degli anni ’70 fino alla fine dei ’90. Come valuti la situazione odierna e i cambiamenti degli ultimi 10-15 anni, giunti anche a causa di gravi fatti di cronaca?
Oggi il sistema calcio è programmato unicamente per poter vendere un prodotto. Il cosiddetto “spezzatino” è stato creato apposta per facilitare la vendita dei pacchetti televisivi. D’altra parte ci sono norme allucinanti. Per comprare un biglietto le persone devono prendere ore di ferie, ritornare più volte nei punti vendita. Siamo al paradosso. Per arginare il fenomeno della violenza negli stadi siamo arrivati alla follia. I biglietti nominali non bastavano? Per chi voleva acquistare un biglietto era sufficiente presentare la carta d’identita. All’interno e all’esterno di uno stadio tutto è videosorvegliato; se qualcuno commette un reato e vuoi giustamente che paghi è molto semplice individuare il responsabile. Anche le trasferte vietate mi sembrano assurde. Vengono imposte solo per poter dire a fine anno che tutto è andato bene. Non bisogna però cantare vittoria quando non ci sono le tifoserie; in questo modo si svuotano gli stadi e basta. Tutte le normative adottate negli ultimi tempi sono sbagliate a mio giudizio. Per me il vero traguardo sarebbe riempire gli stadi garantendo la massima sicurezza, ma ci devono essere i tifosi dell’una e dell’altra squadra.

Secondo te, quindi, quale potrebbe essere la soluzione più logica?
Sono convinto che mantenere i biglietti nominali sarebbe stato più che sufficiente. Tu sei proprietario di un biglietto che ha il tuo nome sopra, sei filmato e sorvegliato dal parcheggio sin dentro lo stadio. Non capisco la necessità di ulteriori regole ancora più restrittive. Anzi, in tal modo tutti sarebbero più responsabilizzati, perché se io so di essere filmato, magari evito determinati comportamenti. Ad ogni modo non si può negare che tutto ciò che accade prima, durante e dopo una partita di calcio venga inevitabilmente amplificato dai media. Lo stadio è sempre stato, almeno fino a qualche anno fa, una sorta di veicolatore dei malumori della società. La violenza negli anni ’70-’80 è arrivata negli stadi perché in quegli anni la violenza era dappertutto, nelle strade, nelle piazze, nei quartieri. Così come poi nelle curve è entrata la politica, cosa che invece ad Alessandria non è praticamente mai successa, a parte uno sporadico caso in cui venne a crearsi un gruppetto neofascista composto da poche decine di persone. Ma ebbe vita abbastanza breve. Poi credo che, soprattutto nelle tifoserie delle maggiori squadre di calcio delle Serie A, siano subentrati interessi economici discutibili, gestiti da personaggi quantomeno ambigui. Anche in questo caso ad Alessandria non credo si corra questo tipo di pericolo.

Torniamo all’argomento principale del tuo libro. Spiegaci come e quando nasce il gruppo Ultras Grigi?
Il gruppo Ultras Grigi è stato fondato nel ’74 da Mario Di Cianni, Marco Marino, Ferruccio Fei, Fabrizio Fornari e il Dolly. La prima generazione di ultras, nata all’oratorio San Rocco, dove ogni giorno si trovavano decine e decine di ragazzi per giocare a pallone. Ragazzi che però erano anche tifosi dei grigi, che maturarono questa decisione spinti dal continuo fiorire in tutta Italia di gruppi ultrà al seguito delle squadre e, in particolare, prendendo spunto da una partita di Coppa Italia con la Fiorentina. Quando questi giovani tifosi videro entrare al “Moccagatta” gli ultras dei viola con indosso tute mimetiche, che allora andavano molto, sciarpe, tamburi e petardi, tutti rimasero ammutoliti ed impressionati. Da lì in avanti i ragazzi menzionati in precedenza decisero che anche ad Alessandria era giunta l’ora di formare un gruppo ultras, che venne appunto chiamato Ultras Grigi ’74. Prima del ’74 in città c’erano diversi gruppi di tifosi che però rappresentavano più che altro i bar principali dei vari quartieri alessandrini, nei quali ci si riuniva durante la settimana per parlare di calcio ed in particolare dell’Alessandria.

Il libro è certamente un dettagliato resoconto di un modo di vivere e manifestare la passione per la propria squadra del cuore che oggi, probabilmente, ha assunto connotati ben diversi…
Sì, nel libro si parla di un mondo che purtroppo non esiste più. Il tifo organizzato di una volta era completamente diverso da quello di questi ultimi anni. Io sono abbastanza pessimista riguardo alla situazione attuale e futura dei gruppi organizzati. Forse anche perché faccio sempre il paragone con il passato, o forse sono io che non riesco a guardare avanti con il necessario ottimismo. Ricordo che quando andai per la prima volta da solo in curva avevo 12 anni, era il 1981, e ciò che mi attrasse furono i colori, i fumogeni, i tamburi, insomma, le scenografie che ogni domenica si vedevano al “Mocca”. Si vivevano emozioni uniche, che poi si traducevano anche nella spinta che veniva data ai giocatori in campo. Alessandria è sempre stata una tappa difficile per le altre squadre. Anche quando si navigava in brutte acque, o quando la squadra era mediocre, per gli avversari fare punti al “Mocca” era veramente un’impresa. Il mondo della curva era un mondo a parte, tutti venivano accolti alla stessa maniera. In curva non esistevano i ceti sociali. C’era il figlio dell’operaio come il figlio del notaio più affermato di Alessandria, tutti erano amici. Poi c’erano tanti luoghi di aggregazione, c’erano gli oratori, c’era “Baleta”.

Puoi spiegare a chi non conoscesse questa storia e questo posto cos’era “Baleta” per gli alessandrini?
“Baleta” era un bar in cui si riunivano tanti tifosi dell’Alessandria ma anche semplici appassionati di calcio e di sport in generale. È stato il cuore pulsante di tutta una generazione di alessandrini, che andava dai ragazzi di 14-15 anni a persone di una certa età. Per come l’ho vissuto io Baleta è stato una specie di mondo a parte in cui l’avvocato di grido di Alessandria rideva, scherzava, a volte litigava, con il ragazzino diciassettenne che andava in curva ogni domenica. Tutti si conoscevano e si davano del tu. E si rispettavano, pur provenendo da realtà e situazioni ben diverse. Era anche un modo per sentire la partita della domenica, un mondo che si autorigenereva. Un ragazzo che entrava anche solo per la prima volta da “Baleta” era quasi impossibile che non si appassionasse ai grigi. Mi ricordo quando dopo la fine della partita andavamo da “Baleta” a vedere “90° Minuto” e c’era il locale pieno; quasi non si riusciva ad entrare.

Ascoltando le tue parole par di capire che, probabilmente, in quegli anni si andasse allo stadio soprattutto per il clima che si respirava sulle tribune, per le scenografie della curva, forse ora non è più così…
Esatto, tutto ora è molto più impersonale. Ora credo che per un ragazzo di 14-15 anni sia ormai molto difficile appassionarsi al mondo della curva, perché c’è ben poco che possa entusiasmarlo, se non unicamente il gioco in campo. Anche i rapporti tra i ragazzi in curva sono cambiati, ora non si vive la domenica allo stadio con la stessa passione di 20-25 anni fa. Anche a causa dei social network, che personalmente non amo, negli ultimi tempi in tanti si improvvisano tifosi, ma credo che in sostanza la squadra a loro interessi ben poco.

Quali sono state le figure di riferimento della curva nel corso degli anni?
Quando ho iniziato a frequentare la curva nei primissimi anni ’80 la figura di riferimento era senza dubbio Mario Di Cianni. Essendo però più vicino d’età a personaggi come “Audi”, Geppo, Longino, Pachiega, Pakie, Remo e Lucarino per me erano soprattutto loro le figure di riferimento. Poi tanti mi dicono che io lo sono stato per chi è venuto dopo. È stata anche una questione di ricambio generazionale, ciò che invece ora sembra mancare.

Ci piacerebbe avere un tuo personale ricordo di un’altra storica figura del tifo grigio, Enrico Cislaghi…
Enrico era una persona ricca di umanità. Ha avuto una vita difficile, aveva mille problemi, ma in curva gli volevano tutti bene perché era sempre sorridente e positivo. Era certamente un personaggio fuori dagli schemi, praticamente senza regole. Aveva le sue passioni e le sue diverse squadre del cuore. Aveva una vera e propria passione per le tifoserie. Amava i genoani ma seguiva anche il Toro, simpatizzava per il Milan ed era gran tifoso dell’Acqui. Lui era così. Poi negli anni si è ammalato ed ha vissuto l’ultima parte della sua vita in comunità a Torino. Quando al funerale Don Ciotti ha celebrato la cerimonia d’addio ricordo come riuscì a tracciarne un ritratto davvero commovente, che mi colpì moltissimo. Non era il solito discorso di chi sta officiando una cerimonia funebre, ma di chi conosceva Chiarugi in maniera davvero profonda, e gli voleva bene.

In conclusione, prendiamo spunto dalle sorprendenti e bellissime vittorie dei Grigi in Coppa Italia a Palermo e Genova. Questi due successi inaspettati paiono aver portato una nuova ventata di entusiasmo generale, in città come tra i tifosi. Secondo te queste imprese possono in qualche modo riaccendere in modo duraturo la passione degli alessandrini nei confronti della squadra?
Voglio prima di tutto chiarire che non me la sento di biasimare chi, per vari motivi, anni fa ha deciso di non frequentare più lo stadio e si sta riavvicinando all’Alessandria solo ora. Se andiamo a ritroso negli anni vediamo tante grandi delusioni e tanti bocconi amari da ingoiare. Anche l’ultimo campionato è finito in maniera molto deludente. Queste situazioni ovviamente non fanno in modo che la gente si avvicini allo stadio. Sono tanti quelli che dicono: “hai visto, ho fatto bene a non venire”. Parecchi tifosi che ora vengono considerati occasionali sono appassionati che magari una volta alla domenica venivano al “Moccagatta”. Questa squadra può farli riavvicinare. Le esperienze di Palermo e Genova sono state meravigliose e rimarranno nella storia dei Grigi. Speriamo servano anche a portare più gente sulle tribune. Fossero pure soltanto 200-300 persone in più, sarebbe comunque un buon risultato.

Chissà che il 2016 non ci regali invece numeri anche più significativi, per accompagnare il cammino di un’Alessandria protagonista in campionato e in Coppa Italia. Con questo auspicio ci congediamo da Alessandro, certi di rincontrarci molto presto sugli spalti del Moccagatta…
A cura di Alessandro Francini, Giorgio Barberis e Gianluca Ivadli(Foto di Gianluca Ivaldi)

(AlessandriaNews)