Tre anni e una settimana dopo la strage di Port Said, l’Egitto piange un nuovo massacro allo stadio. Sono almeno 30, secondo Al Ahram, i tifosi dello Zamalek spirati all’esterno dello Stadio dell’Aviazione al Cairo. Una delle vittime sarebbe un ragazzino di 12 anni. Le immagini mostrano una distesa di corpi sul cemento, circondati dagli oggetti caduti nel fuggi fuggi. Era una delle prime partite di campionato aperte ai tifosi dal primo febbraio 2012, quando un assalto dei tifosi di Port Said alla curva dell’Al Ahly provocò 72 morti (in realtà 74, come il numero scelto da Salah alla Fiorentina pochi giorni fa, ndr), nell’inerzia della polizia. In questo caso gli autori del massacro sono gli stessi agenti, che hanno sparato gas lacrimogeni e pallini di metallo addosso ai tifosi imprigionati fra le recinzioni di metallo, scatenando il panico. In questo delirio, la partita è andata fino in fondo (1-1 con l’Enppi), e un solo uomo – Omar Gaber – si sarebbe rifiutato di giocare. A tarda sera la Federcalcio ha accolto la richiesta del governo di sospendere indefinitamente il torneo.
Se il massacro di Port Said era apertamente politico – un modo per punire gli ultrà, decisivi per il successo del fronte rivoluzionario negli scontri di piazza -, questa nuova strage lo è in maniera più velata. Il presidente dello Zamalek, Mortada Mansour, è un discusso affarista, legato al vecchio regime di Mubarak; ha subito dichiarato guerra ai White Knights, il gruppo ultrà dello Zamalek, definendoli «terroristi» e chiedendo che venissero sciolti d’imperio. A detta di Mansour, i Cavalieri Bianchi avrebbero provato ad assassinarlo a colpi di pistola e a sfigurarlo con l’acido – e in entrambi i casi l’avvocato ne sarebbe uscito miracolosamente illeso. Temendo una contestazione, ieri Mansour avrebbe distribuito la metà dei 10 mila biglietti fra tifosi fidati, evitando che la vendita aperta consentisse l’accesso a troppi ultrà. I quali si sono presentati comunque, incontrando la resistenza della polizia. Circostanza che non ha mosso a pietà Mansour: «Non capite nulla, i teppisti non possono entrare» ha scritto su Facebook.
Questa strage non sembra voluta come quella di Port Said. Piuttosto appare il frutto dei metodi repressivi del nuovo Egitto di Al Sisi, ricalcati dall’era Mubarak. Il massacro assume quindi rilevanza politica: denuncia lo stato della libertà di manifestare in un Paese in equilibrio precario, e tutto fuorché pacificato. Basti pensare ai 230 attivisti condannati all’ergastolo la scorsa settimana e ai continui attacchi nel Sinai. Se i tifosi tornassero sulle barricate, per il governo sarebbero guai seri. «Il Cairo finora sembra tranquilla – ci dice poco prima di mezzanotte uno storico attivista noto come Big Pharaoh -. Ci sono molte persone nelle case delle vittime, non sappiamo se la rabbia esploderà stanotte o fra qualche mese. Ma questa è nuova benzina sul fuoco. E prima o poi l’incendio divamperà» .
La strage di ieri al Cairo richiama alla memoria quella del 1° febbraio 2012 a Port Said, dove nello stadio dell’Al Masry morirono 72 ultrà dell’altra squadra della capitale egiziana, l’Al Ahly. In questa triste classifica, la peggiore (318 morti) si consumò a Lima per Perù-Argentina del 24 maggio 1964, seguita dai 127 deceduti ad Accra in Ghana per Heart of Oak-Ashante il 9 maggio 2001. Quindi, i 96 tifosi del Liverpool morti il 5 aprile 1989 a Hillsborough, lo stadio di Sheffield, in occasione della semifinale di FA Cup col Nottingham Forest. Ottantanove perirono a Città del Guatemala il 16 ottobre 1996 per Guatemala-Costa Rica, 71 al Monumental di Baires per River-Boca del 23 giugno 1968. Gravi anche le stragi al Luzhniki di Mosca nell’82 e a Ibrox, Glasgow, nel 1971(66 morti), all’Heysel di Bruxelles per la finale di coppa dei Campioni del 1985(39 tifosi juventini uccisi il 29 maggio).
(Gazzetta dello Sport)