Anche uno degli opinionisti di punta della Gazzetta dello Sport ha preso posizione sulle questione…
“La decisione di vietare il viaggio a Napoli ai tifosi juventini per la gara d’andata ha reso inevitabile il divieto parallelo del quale si sono lamentati in questi giorni gli ambienti partenopei, ultimo Maurizio Sarri. Ma quando si maneggiano le passioni non c’è metodo alternativo alla coerenza; visto che lo Stato – attraverso l’Osservatorio – ammise di non poter garantire la sicurezza degli uni, va da sé che faccia lo stesso nei confronti degli altri. Inevitabile e coerente non vuol dire giusto: sia all’andata che al ritorno i tifosi corretti hanno subito un vulnus, una limitazione della libertà personale che lo Stato sarebbe tenuto a far rispettare anche in situazioni difficili. Se in questi giorni se ne è parlato di più è soltanto perché quella del San Paolo fu «una» gara importante, mentre questa dello Stadium è «la» sfida-scudetto timbrata e riconosciuta.
Dentro all’eccitazione per la grande partita decisiva, assente in pratica dal duello Milan-Juve che portò al primo titolo di Conte (2012), ci siamo perduti – ed è una tristezza – uno dei pochi aspetti che ci vedevano in vantaggio sul resto d’Europa. Il Clasico spagnolo, per citare la partita più famosa del mondo, si gioca da sempre in regime di monocolore: gli spicchi del Bernabeu e del Camp Nou riservati agli ospiti sono riserve indiane minime, da 100-200 persone, perdute nel mare di tifo casalingo. Qualcosa di più – una media di 3000 biglietti – è concesso in Premier, anche perché le grandi partite sono spesso derby, ma niente di paragonabile alle vecchie transumanze italiane. A San Siro, per fare un esempio, il popolo bianconero occupava regolarmente l’intera curva opposta a quella dei padroni di casa; e della stagione del primo scudetto napoletano ci resta in memoria una lunga serie di immagini di Maradona e compagni che dopo un gol in trasferta vanno a festeggiare sotto a un settore riempito da migliaia e migliaia di loro tifosi.
Viaggiare al seguito della squadra è una delle tradizioni sportive italiane che abbiamo dato troppo presto per decaduta, spaventati dalla militarizzazione del tifo, dai treni speciali, dall’atmosfera bellica che si è impadronita dei nostri stadi. E invece non c’è niente di più bello del «fare una macchina», ovvero del trovare tre amici disposti a dividere benzina e autostrada – e magari conto di una buona trattoria – per passare la domenica in gita per l’Italia al seguito della propria squadra, e così godersi la vita. La tessera del tifoso, sulle cui finalità non discutiamo, ha reso impossibile (o complicatissimo) innanzitutto questo.
La protesta degli scousers, i supporter del Liverpool, contro l’ennesimo aumento dei biglietti – protesta andata a buon fine, visto che il club ha fatto marcia indietro – ha lanciato un segnale rapidamente raccolto da tifoserie di altri Paesi: e quella del Borussia Dortmund ha specificamente contestato il prezzo richiesto a chi va in trasferta, e deve dunque sobbarcarsi anche le spese di viaggio. L’argomento forte del movimento di protesta – che in senso organizzato e paneuropeo ancora non esiste, ma non ci stupiremmo se dilagasse nel giro di qualche settimana – è che la montagna di denaro garantita dalle televisioni non dovrebbe ingrassare soltanto i giocatori e i loro agenti, ma anche favorire una politica di prezzi moderati capace di riempire gli stadi. Sembrerà strano, ma le tv sono le prime ad auspicarla perché non c’è nulla di più triste e antiestetico di uno stadio vuoto: come dimostra proprio la Premier, il tifo è una parte essenziale dello show”.
(Paolo Condò, La Gazzetta dello Sport)