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L’ultrà juventino rispettato dai granata

L’ultrà juventino rispettato dai granata

11 gennaio 2016

Se ne è andato per sempre un pezzo della storia della tifoseria bianconera. Dieci giorni fa, dopo una lunga degenza in ospedale, è scomparso Antonio Marinaro, classe 1954, meglio conosciuto come Jacky l’ultras. Storico tifoso della Juve, è stato uno dei leader della «Fossa dei campioni», uno dei primi gruppi organizzati delle gradinate dello stadio Comunale. La notizia della sua morte si è diffusa sui social network e in molti si sono uniti al cordoglio per la morte del «gigante buono». Tanti amici di un tempo, qualche personaggio famoso come il gruppo musicale degli Statuto. E anche gli «eterni avversari»: gli ultras del Toro che in curva, nella domenica dell’Olimpico, hanno mostrato uno striscione per onorare il «guerriero bianconero».  

Dalle case Shangay  
Figlio di una famiglia numerosa del Sud, Antonio Marinaro si innamora della Vecchia Signora quando è poco più che un bambino. Nato a Melfi, negli anni Settanta è uno dei tanti ragazzini che vive col pallone sotto il braccio nei cortili delle «case Shanghai», le palazzine popolari di via Moncrivello. Dopo un infortunio, lascia il calcio giocato e incomincia vivere in simbiosi con la curva bianconera che in quel periodo si popola di tanti immigrati meridionali come lui. «Jacky mi sembrava Freddie Mercury dei Queen – si legge in una delle tante testimonianze apparse nei forum in questi giorni -. Con la maglia di Bettega a mezze maniche anche d’inverno. Sulla balconata era il punto di riferimento. Ci faceva urlare per novanta minuti fino a farci seccare le gole». 

Il dottor Jekyll  
Amarcord di un mondo ultras che non esiste più: prima del business miliardario, la tessera del tifoso e il divieto delle trasferte. «Era sempre pronto ad aiutarti anche nelle situazioni pericolose. C’era anche all’Heysel dove salvò tante persone. Lo soprannominarono così perché in curva si trasformava come il dottor Jekyll», racconta Massimo Lazzarini, l’ex capo degli ultras bianconeri «Irriducibili». Le pagine della vita di Jacky sono piene di leggende. «Ebbe il coraggio di entrare da solo in curva Maratona per sfidare quelli del Toro – aggiunge -. Era uno che non aveva paura». 

Il gigante buono  
Ma dietro quel corpo massiccio, i baffoni e quelle sciarpe legate al collo nascondeva anche un’altra vita. Alle Vallette, dove abitò fino a poco tempo fa nei palazzoni di via delle Primule, era il «gigante buono» a cui era difficile non volere bene. «Una volta venne a tifare per l’Ambrosiana, la nostra squadra di Terza Categoria – dice Donato Villani, uno delle tante persone che gli avevano dato una mano -. Quando segnai dopo neanche 30 secondi festeggiò con due fumogeni dicendomi che ero un fenomeno. Era un mito». 

No al calcio moderno  
Negli ultimi anni, però, aveva completamente abbandonato il mondo del tifo. Malato e dimenticato dagli amici di un tempo, aveva perso la casa e viveva in una comunità alloggio. «Abbiamo scoperto che era stato ricoverato in ospedale quando ormai era troppo tardi – racconta la sorella Giovanna che abita a Milano -. Con l’aiuto di qualche tifoso e del Comune, speriamo di potergli almeno organizzare il funerale». Nel calcio moderno Jacky si sentiva fuori posto. Lo viveva come un paria. «Negli anni Ottanta, era molto amico dei giocatori che spesso gli davano una mano – aggiunge -. Un giorno mi mostrò un orologio e mi disse che era un regalo di Platini». Nell’ultimo periodo era diventato tifoso del Toro. «Diceva che quelli della Juve lo avevano abbandonato. Ma sono convinta che non poteva tifare per altre squadre».  
La data del funerale non è stata ancora decisa. 

(La Stampa)