«Ma tu sei un ultras?». Quel ragazzino avrà avuto massimo 12 anni e la sua domanda ci deve far riflettere. Atalanta-Alessandria, amichevole di transizione che Gasperini ha organizzato per non far perdere ai suoi il ritmo partita, si è giocata sabato 2 settembre a Caravaggio. Laggiù, nella Bassa, quasi al confine con le province di Cremona, Brescia e Milano, sono arrivati in oltre cinquecento per applaudire la Dea e, partita a parte, ci sono alcune riflessioni che meritano di essere fatte. Siamo alla vigilia di un periodo che per tutti i tifosi atalantini sarà denso di emozioni, dove la mera cronaca, fatta di notizie e risultati, scavalcherà probabilmente le storie di passione e “colore”, ma quella domanda mi ha colpito. E voglio provare a rifletterci insieme.
Quella domanda e il sentirsi parte di qualcosa. Come sempre quando gioca la Dea, gli ultras arrivano al campo per seguire con grande passione le gesta di Gomez e compagni. Il risultato e i giocatori schierati non sono importanti, quei ragazzi, che in casa stanno sui gradoni della Pisani, pensano prima di tutto a sostenere la maglia con cori, striscioni e tanto calore. Allo stadio si vedono spesso bambini che tengono gli occhi appiccicati al settore più caldo in braccio ai loro papà, ma la scena a cui ho assistito a Caravaggio sabato pomeriggio mi ha fatto pensare. Una cinquantina di ragazzi della Nord si sono presentati allo stadio e si sono sistemati appena sotto la tribuna. Da quella posizione di vedeva pochissimo. Tanti bambini con la tuta del Caravaggio (la società ospitante) sono arrivati per vedere da vicino i calciatori, ma quasi tutti si sono divertiti a giocare sotto la pioggia prima del match e poi hanno avvicinato quel gruppo di atalantini piazzatosi in tribuna. «Ma tu sei un ultras?» è la domanda che è stata rivolta ad uno dei ragazzi della Nord e negli occhi di quel bambino non ho visto timore, non ho visto pregiudizi, non ho notato nulla di brutto. Nonostante lo stereotipo secondo cui gli ultras nerazzurri siano gli autori delle peggio cose, quel manipolo di giovani amanti del pallone che sognano la A si è trovato innanzi a chi nel tifo per una squadra di calcio ha trovato, in parte, la sua strada. A chi conosce bene il mondo della Curva di Bergamo, situazioni in cui ragazzini restano affascinati davanti agli ultras non sono certo nuove. Eppure, ogni volta, vedere il loro stupore e, per certi versi, anche il loro entusiasmo davanti a questi tifosi “matti” è bello, semplicemente. Poco dopo la domanda, i ragazzi della Pisani hanno dato vita ad un quarto d’ora di cori e battimani ed è stato divertente vedere come lo stesso ragazzino e i suoi amici si siano fiondati a cantare e tifare insieme agli ultras. Li osservavano da vicino, li imitavano e in quel momento le giocate di Gomez o il gol di Caldara contavano poco o nulla. Contava tifare, sentirsi parte di qualcosa.
Una grande responsabilità, in Italia e in Europa. Il gruppo di ultras bergamaschi è alla vigilia di un’avventura attesa da tantissimo tempo. Il ritorno in Europa ha dato la possibilità a tutti di tornare a viaggiare e al bar dello stadio di Caravaggio, così come su quei gradoni, sotto la pioggia battente i discorsi vertevano più o meno tutti sulla stessa cosa. Birra in mano e colori della Dea addosso, gli ultras parlavano tra loro di bus e di trasferte europee. Su queste pagine (virtuali e non) abbiamo sempre cercato di raccontare al meglio e senza condizionamenti quello che significa la Curva di Bergamo per l’Atalanta, una realtà lontanissima da quelle curve che in Italia sono condizionate da organizzazioni di delinquenti e colori politici. Certo, non ci sono solo santi e gli episodi di violenza del passato vanno condannati senza appello, ma oggi più che mai questi ragazzi hanno una grande responsabilità sulle loro spalle: sostenere l’Atalanta in Italia e in Europa senza eccessi o derive che con il calcio non hanno nulla a che vedere. Quei bambini che li osservavano estasiati (alcuni ragazzini, al bar del centro sportivo, chiedevano del thè freddo in bicchieri grandi di plastica per poter imitare chi in quei momenti beveva birra e sosteneva la Dea) sono la dimostrazione di come il mondo ultras bergamasco sia molto più di un semplice “pezzo” di sport. Sia per i piccini che per i più grandi. A Bergamo, a Reggio Emilia o in giro per l’Europa agli ultras nerazzurri, così come a tutti gli altri tifosi, chiediamo di rendere unici momenti che, altrimenti, sarebbero solo una partita di calcio. Per eventuali reati ci sono giudici e tribunali; noi che raccontiamo di calcio ogni giorno (e che abbiamo una responsabilità verso chi ci legge), invece, non possiamo tralasciare il minimo dettaglio: quella domanda, posta a bruciapelo e senza preavviso da un ragazzino di dodici anni a chi di solito la domenica lancia cori in balconata dimostra che chi è ancora estraneo ai pregiudizi ha voglia, prima di tutti, di capire. Di conoscere e di provare.
I tanti grazie e la bellezza del calcio in provincia. Chiudiamo con un’altra cartolina da Caravaggio. In tribuna c’era il presidente Percassi insieme al direttore Spagnolo; naturalmente sono stati numerosi gli autografi e i selfie richiesti, ma tanti hanno voluto soprattutto dire grazie al presidente nerazzurro. I tifosi presenti non hanno perso l’occasione di far sentire ai vertici nerazzurri, al mister e a tutto il gruppo quanto sia bello essere atalantini in questo periodo. E lo hanno fatto dalle tribune di uno stadio di provincia durante un’amichevole senza tanti titolari e giocata sotto la pioggia battente. È sempre un’emozione toccare con mano lo stupore e il calore dei campi della provincia. Al primo gol di Petagna c’è stato un boato fragoroso: c’è voglia di Atalanta ovunque e dare la possibilità ai tifosi di vedere la squadra giocare a due passi da casa è qualcosa di speciale. La maglia lanciata dai giocatori, il selfie con il presidente e la possibilità di parlare con un ultras sono sensazioni che, per i tifosi dell’Atalanta, rappresentano qualcosa di unico.
(Bergamo Post)