Un estratto di un’intervista alla Gazzetta dello Sport di Giampiero Pinzi, “ultras in campo”.
E’ in diffida: riesce a finire senza un altro stop?
«Difficile perché nel mio modo di giocare non esiste la parola “scansati”».
Per questo è amato dai tifosi?
«A loro non importa di come giochi, ma guardano quel che dai. E vogliono che dia tutto».
Lei ha un gran rapporto con i tifosi, ha un club intitolato GPP 66 Cargnacco. Come va gestito il legame con loro, quali sono i limiti?
«Io sono un ultrà. Sono cresciuto in una curva, quella della Lazio, e non andarci quasi mai è il più grande rammarico. Ma essere ultrà significa spendere lo stipendio per la squadra che è il tuo ideale. Ci rimango male quando si fa di tutta un’erba un fascio. Chi tira le bombe carta è un delinquente, non un ultrà. Io con loro parlo civilmente, qui chiedono di lottare su ogni palla. Infatti dopo la sconfitta con l’Inter piangevano».