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Spezia, in ricordo di Roger

Spezia, in ricordo di Roger

7 febbraio 2016

È rimasto sui gradoni della Curva Ferrovia fino a poche settimane fa, fino a quando gli è stato possibile, anche sotto la pioggia battente o il sole più caldo che tutti gli altri sopportavano con fastidio. Ma Roger Chinca se n’è andato questa mattina a soli 48 anni, dopo aver vissuto ogni instante degli ultimi che ha potuto trascorrere al Picco con lo spirito di sempre, col suo modo unico di affrontare quei novanta minuti, con la sua voce profonda che sprigionava per mandare a quel paese giocatori, allenatori e avversari, con le sue travolgenti esultanze e soprattutto con la sciarpa degli Ultras Spezia sempre annodata al collo, indipendentemente dalla stagione.
Una di quelle storiche, di lana, custodita gelosamente da chi ha visto annate spesso avare di soddisfazioni ma che hanno cementato la storia di una tifoseria schietta e scorbutica. Senza fronzoli, proprio come Roger, con quel suo nome inusuale e quell’imponenza che non lo faceva mai passare inosservato e sulla quale si faceva prendere in giro volentieri per la sua vita “incingibile”. Uomo vero, ironico, sincero come l’amore per l’inseparabile moglie Marta e il suo attaccamento alla maglia bianca seguita per più di trent’anni dapendolare dalla sua Aulla da dove da giovane partiva in treno con la bandiera nello zaino e l’inesauribile passione che contraddistingue da sempre chi si avvicina a questi colori. Viaggi fatti centinaia di volte, tanto da far diventare la sua figura familiare anche a chi non aveva avuto la fortuna di vantarlo come amico, perché lui c’era sempre: nei momenti più esaltanti quando sui gradoni si stava stretti, come in quelli più bassi quando i volti li distinguevi uno ad uno con le loro espressioni e la certezza di trovarli sempre lì indipendentemente da quello che sarebbe venuto dopo. Felice come un bambino o “incazzato come una belva” lui c’era, stagione dopo stagione anche in quella attuale. Per molti di questi, raccolti sotto il nome di Bandapart, è diventato più di un fratello e compagno di viaggi indimenticabili da Siracusa a Brescia, nelle immancabili trasferte toscane come a Salerno o Savona ed Aosta nell’anno della Serie D, spinto dalla scusa del calcio e il valore reale dell’amicizia che per lui si traduceva alla perfezione davanti una tavola ben imbandita.
Capace di ammonirti con un perentorio “sonà!” per poi regalarti tutto l’affetto possibile con un sorriso dei suoi o un impareggiabile abbraccio, scherzava volentieri sulla sua origine lunigianese della quale andava orgoglioso anche per le sue tradizioni partigiane, così come era legato alla Sicilia che raggiungeva appena possibile. E’ stato sempre forte ed ha affrontato ogni cosa con grande concretezza, la stessa che gli consentiva di stemperare a modo suo ogni situazione.
Probabilmente anche in queste ore se potesse vedere le lacrime negli occhi di tutti coloro che lo ricordano con emozione se ne uscirebbe con un “fatela un po’ finita e andiamo a mangiare che ho fame”.

(Cittadellaspezia)